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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:188|3|0]]giovanetta ch’egli aveva conosciuta, un’amica di Amalia, morta qualche anno prima. Chiese alla vecchia donde le fossero venute quelle fotografie, ed ella rispose che le aveva comperate per adornare quella parete. Egli guardò lungamente la faccia buona di quella povera ragazza che aveva posato tutta impettita dinanzi alla macchina del fotografo, forse l’unica volta in sua vita, per servire da ornamento a quella stanzaccia.

Eppure in quella stanzaccia, in presenza della sozza vecchia che stava a guardarlo lieta d’aver conquistato un nuovo cliente, egli sognò d’amore. Precisamente in quelle condizioni era eccitantissimo figurarsi Angiolina che veniva a portargli l’amore desiato. Con un fremito di febbre, egli pensò: domani avrò la donna amata!

La ebbe quantunque mai l’avesse amata meno di quel giorno. L’attesa l’aveva reso infelice; gli pareva d’essere nell’impossibilità di godere. Circa un’ora prima di andare all’appuntamento pensò che se non vi avesse trovata la gioia attesa, avrebbe dichiarato ad Angiolina di non volerla vedere più, e precisamente con le parole: — Sei tanto disonesta che mi ripugni. — Aveva pensate queste parole accanto ad Amalia, invidiandola perchè la vedeva disfatta ma tranquilla. E aveva pensato che l’amore, per Amalia, restava il puro grande desiderio divino: era nell’effettuazione che la piccola natura umana si trovava brutata, avvilita.

Ma quella sera godette. Angiolina lo fece attendere

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