< Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 196 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:200|3|0]]eppoi pareva egli volesse biasimare solo se stesso.

In una società differente egli avrebbe potuto farla sua, pubblicamente, subito, senza imporle prima di darsi al sarto. Faceva proprie anche le menzogne di Angiolina, pur di renderla dolce e indurla a entrare in quelle idee, per sognare in due. Ella volle delle spiegazioni ed egli gliele diede beato di poter dar voce al sogno. Le raccontò quale lotta immane fosse scoppiata fra poveri e ricchi, i più e i meno. Non v’era da dubitare dell’esito della lotta il quale avrebbe apportato la libertà a tutti, anche a loro. Le parlò dell’annientamento del capitale e del mite breve lavoro che sarebbe stato l’obbligo d’ognuno. La donna uguale all’uomo e l’amore un dono reciproco.

Ella chiese delle altre spiegazioni che già turbarono il sogno, e poi concluse: — Se tutto venisse diviso, non ci sarebbe niente per nessuno. Gli operai sono degl’invidiosi, dei fannulloni, e non riusciranno a niente. — Egli tentò di discutere ma poi vi rinunziò. La figlia del popolo teneva dalla parte dei ricchi.

A lui parve ch’ella non gli avesse mai chiesto del denaro. Quello ch’egli non potè negare neppure a se stesso era che, quando, consapevole dei suoi bisogni, egli l’abituò a ricevere del denaro in luogo di oggetti o di dolciumi, ella se ne dimostrò riconoscentissima, pur affettando sempre una grande vergogna. E questa riconoscenza si rinnovava egualmente vivace ad ogni dono ch’egli le faceva; perciò, quando egli sentiva il bisogno di trovarla dolce e amorosa, sape-

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.