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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:231|3|0]]vento, l’orrore. Alcuni villici passavano cantando per una via vicina e il loro canto monotono chiamò poi sempre le lagrime agli occhi d’Emilio. Tutti i suoni che gli giungevano erano monotoni, senza calore e senza senso. In un appartamento vicino, un dilettante maldestro stonava sul pianoforte un valzer volgare. Quel valzer sonato così — e lo riudì spesso — gli parve una marcia funebre. Anche l’ora, lieta, divenne triste per lui. Il meriggio era trascorso da poco e dalle finestre di faccia veniva riflesso nella stanza solitaria tanto sole da abbacinare. Eppure il ricordo di quel momento andò sempre congiunto ad una sensazione di oscurità e di freddo raccapricciante.

Le vesti di Amalia giacevano sparse al suolo ed una gonna aveva impedito alla porta d’aprirsi tutta; alcuni panni giacevano sotto il letto, la camicetta era chiusa fra le due vetriate della finestra e i due stivali, con evidente accuratezza, erano posti proprio nel centro del tavolo.

Amalia seduta sulla sponda del letto, coperta della sola corta camicia, non s’era avvista della venuta del fratello e continuava a fregare con le mani le gambe sottili come fuscelli. Dinanzi a quella nudità Emilio ebbe la sorpresa ed il fastidio di trovarla somigliante a quella di un ragazzo malnutrito.

Non comprese subito di trovarsi dinanzi ad una delirante. Non s’accorse dell’affanno; attribuì la respirazione romorosa e congiunta a tanta fatica da moverle persino i fianchi, alla posizione affaticante. Il primo suo sentimento fu d’ira: lasciato libero da

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