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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:232|3|0]]Angiolina, trovava pronta quell’altra per dargli noie e dolori. — Amalia! Che fai? — le chiese rimproverando.
Ella non lo udì mentre doveva percepire i suoni del valzer, perchè ne segnava il ritmo nel lavorìo a cui era intenta sulla propria gamba.
— Amalia! — ripetè egli debolmente, sbigottito dall’evidenza di quel delirio. Le toccò con la mano la spalla. Allora ella si volse. Da prima guardò la mano di cui aveva sentito il contatto, poi lui in faccia; nell’occhio ravvivato dalla febbre null’altro che lo sforzo di vedere, le guance infiammate, le labbra violacee, asciutte, informi come una ferita vecchia che non sa più rimarginare. Poi l’occhio corse alla finestra inondata di sole e subito, forse ferito da tanta luce, ritornò alle gambe nude ove si fermò con attenta curiosità.
— Oh, Amalia! — gridò egli lasciando che il suo spavento si manifestasse in quel grido, che forse avrebbe potuto richiamarla in sè. L’uomo debole teme il delirio e la pazzia come malattie contagiose; il ribrezzo che ne provò Emilio fu tale che gli toccò di farsi forza per non abbandonare quella stanza. Vincendo la propria violenta ripulsione, toccò di nuovo la spalla della sorella: — Amalia! Amalia! — gridò. Chiamava aiuto.
Si sentì un po’ sollevato, accorgendosi ch’ella lo aveva udito. Lo aveva guardato una seconda volta, pensierosa, come se avesse cercato di comprendere la ragione di quei gridi e di quella replicata pressione