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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:242|3|0]]Sulla via si divisero. Al Balli sembrò consigliabile di non lasciare Amalia più a lungo sola con una straniera; Emilio ritornasse a casa: sarebbe andato lui a cercare il medico.
Ambedue si misero a correre. La fretta d’Emilio era causata dalla grande speranza che s’era insinuata poco prima nel suo animo. Non era affatto escluso che, a casa, egli potesse trovare Amalia, tornata in sè, a salutarlo grata dell’affetto che gli avrebbe letto in viso. Il suo passo rapido accompagnava e spingeva il sogno ardito. Giammai Angiolina gli aveva dato un sogno simile dettato da un desiderio sì intenso.
Non sofferse dell’aria rigida spirante da poco, tale da far dimenticare la tiepida giornata quasi primaverile che a lui era sembrata stridente contraddizione al suo dolore. Le vie s’andavano oscurando rapidamente: il cielo era coperto di grossi nuvoloni, trascinati da una corrente d’aria, che a terra non si percepiva che nell’improvviso abbassamento della temperatura. In lontananza Emilio vide sul cielo fosco la cima di un’altura gialla di luce morente.
Amalia delirava come prima. Riudendone la stanca voce, dall’identico suono dolce, la stessa modulazione puerile interrotta dall’affanno, egli comprese che mentre fuori egli aveva sperato pazzamente, in quel letto l’ammalata non aveva trovato un istante di tregua.
La signora Elena era legata al letto perchè la testa dell’ammalata riposava sul suo braccio. Raccontò però che poco dopo la sua uscita, Amalia aveva