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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:276|3|0]]visi per vedere come fosse riuscito il tentativo fatto di puntellare un alberello che non voleva crescere diritto.

— Allora vado io via, se c’è Vittoria — gridò Amalia e si rizzò a sedere. Emilio, spaventato, alzò la candela per veder meglio. Amalia era livida; la sua faccia aveva il colore del guanciale su cui si proiettava. Il Balli la guardò con evidente ammirazione. La luce gialla della candela si rifletteva luminosissima sulla faccia umida d’Amalia, tanto che pareva luminosità sua; il nudo così brillante e sofferente gridava. Pareva la rappresentazione plastica di un grido violento di dolore. La faccina su cui per un istante s’era stampata una risoluzione ferma, minacciava imperiosamente. Fu un lampo: ella ricadde subito, quetata da parole che non comprese. Riprese poi a borbottare mitemente da sola, accompagnando con qualche parola la corsa vertiginosa dei suoi sogni.

Il Balli disse: — Pareva una buona dolce furia. Non ho mai visto qualche cosa di simile. — S’era seduto e guardava in aria con quell’occhio da sognatore con cui cercava le idee. Era evidente, ed Emilio ne provò soddisfazione: Amalia moriva amata dell’amore più nobile che il Balli potesse offrire.

La signora Elena riprese la conversazione al punto ove l’aveva lasciata. Forse quetando Amalia ella non s’era staccata neppure per un istante dal pensiero suo più caro. Anche il rancore verso i parenti del marito era un elemento della sua vita. Raccontò che

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