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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:285|3|0]]conservare e produrre la vita. Il pensiero di lei è come una qualità, una malattia dell’organismo. La volontà non lo chiama nè lo respinge.
Di questo pensiero Emilio lungamente visse. La primavera era passata, ed egli non se n’era accorto che per averla vista fiorire sulla tomba della sorella. Era un pensiero cui non andava congiunto alcun rimorso. La morte era la morte; non più terribile per le circostanze che l’avevano accompagnata. Era passata la morte, il grande misfatto, ed egli sentiva che i propri errori e misfatti erano stati del tutto dimenticati.
In quel periodo, per quanto potè, visse solitario. Evitò anche il Balli, il quale dopo di essersi contenuto tanto bene al letto di Amalia, aveva già perfettamente dimenticato il breve entusiasmo ch’ella aveva saputo inspirargli. Emilio non gli sapeva perdonare di non essergli più simile in questo. Era oramai la sola cosa che gli rimproverasse.
Quando la sua commozione s’affievolì, gli sembrò di perdere equilibrio. Corse al cimitero. La strada polverosa lo fece soffrire, e indicibilmente il caldo. Sulla tomba prese la posa del contemplatore, ma non seppe contemplare. La sua sensazione più forte era il bruciore della cute irritata dal sole, dalla polvere e dal sudore. A casa si lavò e, rinfrescata la faccia, perdette ogni ricordo di quella gita. Si sentì solo, solo. Uscì col vago proposito d’attaccarsi a qualcuno, ma sul pianerottolo dove un giorno aveva trovato il soccorso invocato, ricordò che poco distante po-