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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:34|3|0]]desiderio. Certo ella lo aveva trovato tanto ragionevole che le sembrava di poter fidarsi di lui, e infatti per lungo tempo, ella non ebbe neppur l’occasione di rifiutargli qualche cosa.

Si trovavano sempre all’aperto. Amarono in tutte le vie suburbane di Trieste. Dopo i primi appuntamenti, abbandonarono Sant’Andrea ch’era troppo frequentato, e per qualche tempo preferirono la strada d’Opicina fiancheggiata da ippocastani folti, larga, solitaria, una salita lenta quasi insensibile. Si fermavano a un pezzo di muricciuolo che divenne la meta delle loro passeggiate soltanto perchè la prima volta vi si erano assisi. Si baciavano lungamente, la città ai loro piedi, muta, morta, come il mare, di lassù niente altro che una grande estensione di colore misterioso, indistinto: e nell’immobilità e nel silenzio, città, mare e colli apparivano di un solo pezzo, la stessa materia foggiata e colorita da qualche artista bizzarro, divisa, tagliata da linee segnate da punti gialli, i fanali delle vie.

La luce lunare non ne mutava il colore. Gli oggetti dai contorni divenuti più precisi non s’illuminavano, si velavano di luce. Vi si stendeva un candore immoto, ma di sotto, il colore dormiva intorpidito, fosco, e persino nel mare che ora lasciava intravvedere il suo eterno movimento, baloccandosi con l’argento alla sua superficie, il colore taceva, dormiva. Il verde dei colli, i colori tutti delle case rimanevano abbrunati e la luce di fuori, inaccolta, distinta, un effluvio

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