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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:86|3|0]]stione ch’ella non doveva conoscere. Fra loro due, vecchi amici, sorgeva una disputa. Il meglio che si potesse fare era di risolverla alla cieca, fidandosi in un giudizio di Dio che per quei casi doveva essere stato inventato.

Ma il giudizio di Dio non poteva più essere cieco perchè Amalia aveva già capito di che si trattasse. Ebbe un’occhiata di riconoscenza per il Balli, un’espressione intensa che non si sarebbe creduta possibile in quei piccoli occhi grigi. Ella trovava finalmente un alleato, e l’amarezza che da tanto tempo le pesava sul cuore, si risolse in una grande speranza. Fu sincera: — Ho già capito di che cosa si tratti. Ella ha tanto ragione — il suono della voce invece che dare ragione chiedeva soccorso — basta vederlo sempre distratto e triste, stampata in faccia la fretta di abbandonare questa casa in cui mi lascia tanto sola.

Emilio l’ascoltava inquieto temendo che quelle lagnanze non degenerassero, come sempre, in pianti e singhiozzi. Invece, parlando al Balli del proprio grande dolore, ella restò calma e sorridente.

Il Balli, che nel dolore di Amalia non scorgeva altro che un alleato nel suo litigio con Emilio, ne accompagnava le parole con gesti di rimprovero rivolti all’amico. Ma le parole d’Amalia non s’accompagnarono più a quei gesti. Ridendo lieta, ella raccontò: — Giorni prima era stata al passeggio con Emilio e aveva potuto osservare ch’egli si faceva inquieto quando vedeva in lontananza delle figure

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