Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 92 — |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:96|3|0]]cui ella stessa godeva perchè una parte riverberava su di luiFonte/commento: Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/295.
Tra fratello e sorella non vi furono più diverbi. Emilio — e cieco com’era non ne ebbe alcuna sorpresa, — sentì che la sorella lo sopportava, lo comprendeva meglio; anzi sentì che la novella benevolenza si estendeva persino al suo amore. Quando egli le parlava di questo, il volto di Amalia si rischiarava, luceva. Ella cercava di farlo parlare d’amore, e non gli diceva mai ch’egli si guardasse o che dovesse lasciare Angiolina. Perchè avrebbe dovuto lasciare Angiolina visto ch’ella era la felicità? Un giorno domandò di conoscerla, e più volte ne espresse poi il desiderio; ma Emilio si guardò bene dal compiacerla. Ella non sapeva di quella donna se non ch’era un essere molto differente da lei, più forte, più vitale, e ad Emilio piacque di aver creata nella sua mente un’Angiolina ben diversa dalla reale. Quando si trovava con la sorella, amava quell’immagine, l’abbelliva, vi aggiungeva tutte le qualità che gli sarebbe piaciuto di trovare in Angiolina, e quando capì che anche Amalia collaborava a quella costruzione artificiale, ne gioì vivamente.
Sentendo parlare di una donna che, per appartenere ad un uomo che amava, aveva vinti tutti gli ostacoli, pregiudizi di casta e d’interessi, ella disse in un orecchio ad Emilio: — Somiglia ad Angiolina.
— Oh, le somigliasse! — pensò Emilio mentre atteggiava la faccia a consenso. Poi si convinse che le somigliava di fatto o almeno, che, cresciuta in al-