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brionale del suo e che ne aveva parlato per soddisfare alla vanità stuzzicata. 

Finalmente la conversazione deviò e per opera di Annetta stessa. Si parlò dell’imminente stagione dei teatri ma piú del contegno nei palchetti e in platea che sulla scena, e Alfonso stette zitto. Macario e Annetta si divertirono a nominare e a descrivere alcuni giovanotti frequentatori della platea, e dal momento in cui Annetta fece dello spirito accompagnando i suoi frizzi di certe sue risate lunghe, fragorose che la facevano contorcersi, mettere in mostra un collo bianco, grassoccio, sul quale la tensione faceva visibili poche leggere pieghettature, Alfonso si sentí impacciato. Gli pareva di vederla di nuovo cantare quella canzone bizzarra e saltare dinanzi a lui con una spudoratezza simile a quella delle matrone romane dinanzi ai loro schiavi. 

Ancora una volta si parlò di arte o quasi, come Annetta sorridendo disse al momento del congedo. Alfonso, che per poco che avesse frequentato il teatro s’era già accorto quale danno apportasse allo spettacolo il chiacchierio degli spettatori, proponeva di introdurre nei teatri il sistema dei teatri tedeschi, d’imporvi il silenzio e di abbassare nella sala i lumi. Gli spiacque di non poter piú dare ragione ad Annetta per la semplice ragione ch’ella adottò il parere contrario al suo dopo ch’egli già lo aveva emesso. A teatro ad Annetta importava meno lo spettacolo sulla scena che quello in platea. Diceva che le piaceva osservare i suoi simili piú che gli omicciattoli fatture di altri omicciattoli. 

— L’arte ci perde, lo riconosco, ma l’arte a teatro è poi arte? 

Fece una smorfia di disprezzo che lasciò Alfonso di nuovo ammirato Egli non sapeva abbracciare cosí ciecamente delle idee altrui.  

Uscendo, Alfonso scorse una donna sul pianerottolo superiore, la quale, al vedere Macario, si ritirò con precipitazione. Aveva la statura di Francesca, ma Alfonso non poté vederne il volto.

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