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Tale domanda equivaleva ad una risposta. Alfonso entrò e si trovò faccia a faccia con un giovinotto tozzo, dai capelli crespi di color castagno, dalla fronte bassa ma regolare; erasi levato in piedi appoggiandosi in atto di sfida con i pugni chiusi sul lungo tavolo su cui scriveva. 

Il signor Starringer aveva rinunziato a qualsiasi altro avanzamento per occupare il posto rimasto vacante di dirigente alla speditura, ottenendo in tale modo prontamente un emolumento maggiore di cui urgentemente abbisognava. 

— Fino alle dieci? E a cena quando ci andrò? Ho lavorato tutto il giorno e ho diritto di andarmene. Io non resto! 

— Ho da avvertire il signor Sanneo? — chiese timidamente Alfonso, sempre timido con persone che non lo erano. 

— Sí... anzi lo avvertirò io stesso! — Il era risoluto, significava che voleva andarsene e nasca quello che sa nascere; il resto pronunziò a voce piú bassa. Improvvisamente, dopo di aver capito che non poteva liberarsi da quella nuova seccatura, scoppiò in un’ira veemente. Disse ch’egli comprendeva essere colpa degli impiegati alla corrispondenza, che gli toccava quel terno; a suo tempo, gridava, quando era lui impiegato (alludeva a quell’epoca spesso), si lavorava di un lavoro battuto durante la giornata ma alla sera si andava a casa alle ore volute. Quel giorno aveva veduto chiacchierare Miceni sul corridoio, lavorare intorno ad una serratura Ballina. Perché perdevano in tale modo il loro tempo? Rosso in volto, ingrossate le vene della fronte, s’era avanzato verso Alfonso. Parlando degl’impiegati tendeva il braccio e con l’indice accennava esattamente alla corrispondenza. Alfonso gli spiegò che non si ritardava per il lavoro della corrispondenza, ma che all’ultima ora era stato commesso loro un nuovo lavoro. L’ira di Starringer non cessò ma non la sfogò piú con parole. — Ah! cosí! — e si strinse sdegnosamente nelle spalle con movimento esagerato, volendo esprimere molto.

Sul tavolo giacevano le lettere scritte nella giornata, al-

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