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Egli era ancora convinto che Fumigi dovesse essere stato rifiutato, ma soltanto perché non gli sembrava ammissibile che Annetta si adattasse a sposarlo; non per altro amore, non per amore a lui. Egli non c’entrava in quella risoluzione, questo ora sentiva. Era ora minacciato da una grande sventura, ma quando l’imminente pericolo fosse stato scongiurato egli non si sarebbe perciò sentito piú sicuro. 

Il giorno dopo Miceni gli disse che ancora nulla di nuovo sapeva, ma che non aveva premura. La sua carta da visita per felicitazione sarebbe sempre giunta in tempo. Scappò via non permettendo ad Alfonso di dare una risposta ch’egli doveva prevedere poco gentile. Non s’erano detti una sola parola sulle relazioni di Alfonso con Annetta, ma Miceni agiva come se le conoscesse e Alfonso se ne accorgeva. 

Andò alla sera da Annetta. Per la via si abbandonò alle maggiori speranze. Si aspettava di trovarla immutata e attendendolo in quella biblioteca ove poteva passare altre ancora di quelle serate indimenticabili. 

Stava per deporre il cappello all’entrata già rassicurato, quando Santo, ch’era sul pianerottolo, lo chiamò: 

— La signorina non può riceverla quest’oggi; è indisposta. 

Alfonso impallidí. Ma Miceni aveva dunque ragione? 

— Molto ammalata? — chiese a Santo. Anche con costui bisognava fingere. 

— Oh! sa! le donne! — fece Santo con l’irriverenza che gli era propria quando parlava dei suoi padroni dietro alle loro spalle. 

Non era ammalata! In quel tinello completamente illuminato come nelle serate di ricevimento, forse ella sedeva accanto a Fumigi, il quale gustava a pieno della gioia di quelle dolci espansioni, quella calma del possesso non piú contrastato che Alfonso credeva fosse la suprema delle felicità. 

Santo già gli aveva voltato le spalle. Fino ad allora e dacché lo aveva veduto in casa Maller, Santo lo aveva trattato con servilità anche seccante. Il suo disprezzo

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