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della stessa parola e passandogli dinanzi agli occhi gli dava le vertigini. 

— Io lo sapeva, — disse Annetta con sincerità — ma sarebbe stato meglio di non dirmelo. 

Lo minacciò scherzosamente col dito e sul suo volto passò un’ombra di serietà. Del resto, come a lui che le diceva, a lei le parole di amore sembravano piú fredde di quanto le aveva precedute e provocate; di quelle non temeva. Non erano che una soddisfazione alla sua vanità e lo interruppe dicendogli con grande dolcezza: 

— Basta, basta! — cosí che se Alfonso non vi si fosse annoiato avrebbe continuato. 

Per quella sera bastò, ma non per il seguito. Fino ad allora timido anche per calcolo, Alfonso s’era accorto quanto maggior felicità gli fosse derivata dal passo fatto. Con sufficiente chiarezza gli era stato indicato fino a quale punto gli era lecito di andare, e, se non oltre, voleva almeno trovarsi sempre là. Ne aveva conquistato il diritto. Ogni sera diceva ad Annetta la parola d’amore; se prima non lo poteva, andandosene, stringendole la mano per congedarsi. 

Improvvisamente Francesca era ridivenuta la compagna indivisibile di Annetta. Assisteva sempre alle loro sedute ed ora che poco o nulla lavoravano al romanzo, ella prendeva parte attiva ai loro discorsi. Era scomparso ogni sforzo nelle sue relazioni con Annetta dapprima fredde poi esageratamente amichevoli, e le due donne cinguettavano dinanzi a lui di mode, di viaggi, di persone ch’egli non conosceva, lasciandolo imbarazzato e muto. Rimaneva muto anche quando parlavano d’altro, perché proprio non si sentiva piú di rivolgere ad Annetta né frasi banali, né disquisizioni critiche. Tutto ciò era troppo freddo, nullo e mancava di scopo. A che scambiare delle parole che a lui non importava di dire, a lei di udire? Egli rimuginava ancora delle parole, ma erano tali che dovevano ammettere, immediatamente dopo dette, qualche atto ardito e appassionato. D’altro non gl’importava. Il bacio sulla mano di Annetta gli aveva dato il bisogno di parlare, quello sulle labbra glielo aveva tolto.

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