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durezze nel carattere di Annetta, ma l’amava e voleva convincersi che se avesse mutato di condizione l’avrebbe amata lo stesso. Lo sentí con tanta violenza che gli parve di non averglielo mai espresso come allora lo sentiva. 

Ad onta del suo amore rimase duro, persino ingiusto nel giudicare il carattere di Annetta. Perché se Annetta rimpiangeva le sue momentanee disfatte, non ne toglieva via la possibilità, vietandogli l’accesso in casa sua? Egli non ammise che Annetta si ripromettesse di trionfare della propria debolezza. No! Ella semplicemente fingeva di sfuggire quegl’istanti di smarrimento, ma li desiderava anche quand’era calma. Il disprezzo di Alfonso veniva aumentato da questa conclusione, ma ne venivano aumentate anche le sue speranze. 

Da allora, come Annetta glielo aveva comandato, dinanzi ai terzi seppe in parte padroneggiarsi, ma quando con essa poteva trovarsi solo era ardito proprio per proposito, per calcolo e si costringeva all’arditezza non lasciandosi arrestare dal sangue che gli affluiva al core e gli toglieva la parola. 

Una sera, dopo aver atteso invano che Francesca si allontanasse, avendolo Annetta accompagnato fino sul pianerottolo, egli risolutamente compí il piano che da parecchie sere s’era proposto. In piena luce, là, dinanzi a tutte quelle porte, l’una o l’altra delle quali improvvisamente poteva venir aperta, l’attirò a sé e la baciò sulle labbra. Annetta spaventata si tolse all’abbraccio, ma molto commossa e per niente irritata, mormorò con dolcezza: 

— Mi lasci, Alfonso! 

Se ne andò col passo da ebbro, ma nella grande agitazione sapeva con chiarezza perché Annetta non avesse trovato parole di rimprovero. Le piacevano gli ardimenti eccessivi, e le esitazioni che il rispetto impone non soddisfacevano che la sua vanità. Attirandola a sé egli aveva mormorato: — Se adesso mi uccidessero sarebbe pure la bella morte! 

Era una frase melodrammatica che non ci sarebbe stato bisogno di pronunziare, l’atto si scusava già da sé agli

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