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confidente e renderlo invidioso piuttosto che sprezzante, perché, era sempre piú evidente, Miceni sembrava supporre che Alfonso amasse Annetta e non ne fosse corrisposto. Non sapeva del rifiuto dato da Annetta a Fumigi e anzi Fumigi doveva avergli detto tutt’altro che la verità per spiegargli perché non avesse avuto luogo la promissione di che gli aveva parlato. Era strano con quanta facilità Miceni, solitamente tanto malizioso, tenesse per vere le favole che gli erano state raccontate. Diceva ad Alfonso che Fumigi era in procinto di sposare un’altra ragazza piú ricca e piú bella di Annetta e che perciò aveva abbandonato quest’ultima. 

Era reso piú facile ad Alfonso tacere di sé e delle sue fortune con Annetta, all’accorgersi che per vendicarsi di Miceni, farlo stizzire, gli bastava deridere Fumigi e le sue pretensioni. 

— Da un momento all’altro questo signore lasciò l’idea di chiedere la mano di Annetta? Strano! A me invece venne detto ch’egli abbandonò tale idea dopo averla già messa ad esecuzione! 

Miceni allora diveniva rosso come un gambero cotto e rispondeva come avrebbe risposto a un’offesa personale, violentemente. Diceva che Annetta era una vanerella la quale avrebbe voluto veder morire qualcuno d’amore per lei, ma che fino ad allora non le era riuscito. 

Alfonso non poté portare ira contro Fumigi che per breve tempo. Una mattina, andando all’ufficio, vide la piccola personcina trotterellare nella stessa sua direzione. Passò oltre fingendo di non vederlo, ma Fumigi gli corse dietro chiamandolo ad alta voce. Si volse e rimase stupito al trovarsi dinanzi una figura ben differente da quella a cui s’era atteso. Non era la magrezza né la pallidezza di volto che lo sorprendeva; era l’inquietudine dell’occhio, era uno strano movimento della bocca che masticava o meglio ruminava, ma piú che altro era il vestito trascurato, indecente, una giacca troppo lunga che non sembrava fatta sul suo dosso, calzoni bianchi leggeri ad onta della temperatura ch’era di poco al di sopra dello

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