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ta la fisonomia della madre. La baciò in fronte quasi tranquillato: 

— Hai un aspetto florido. 

— Sono grassa, eh? 

Senza riguardi Giuseppina intervenne con la sua voce poco aggradevole, bassa. 

— Ma sí! lo dico sempre io che ha l’aspetto florido e che il dottore che la fa rimanere a letto è un asino. 

La signora Carolina aveva attirato Alfonso di nuovo a sé e gli passava la mano attraverso ai capelli bruni. 

— Tu sei divenuto anche piú bello, ciò che Rosina sicuramente non avrebbe creduto che fosse possibile, — gli disse guardandolo con attenzione. — Abbiamo avuto torto di dividerci. Adesso sarei certamente in questa stessa situazione, ma avrei passato meglio la vita fin qui! 

A quella distanza Alfonso aveva capito che cosa desse alla madre l’aspetto tanto florido. Era gonfia, una guancia molto piú che l’altra, e su questa gonfiezza s’era riprodotta la trama della tela grossolana e di qualche cucitura irregolare del guanciale. La sua faccia ch’era stata ovale tendeva ora ad arrotondarsi. I capelli bianchi che ancora le restavano facevano corona intorno ad un volto che sembrava infantile. 

Ella comprese quale impressione dolorosa la vista di quella gonfiezza gli avesse prodotta e volle attenuarla. 

— Oh qui non mi duole! — e con un dito si toccò con disprezzo la guancia. Vi produsse una cavità livida che rimase anche quando ella ritirò il dito. Quello non era nulla, gli spiegò, e non le dava sofferenze. Soffriva molto ai polmoni, non aveva aria a sufficienza. Era probabile che cosí si morisse. Trovandovisi tanto vicina, andava studiando il mistero della morte. 

Egli cercò di provarle che s’ingannava e avrebbe dovuto essergli facile trovandosi di fronte alla nozione tanto imperfetta della malattia, ma non sapeva mettere tutta la sua intelligenza a ingannarla. Ella moriva, questo era il doloroso, non ch’ella lo sapesse. Aveva compreso che non v’era piú rimedio. S’informava ancora di altri sinto-

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