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Rimproverò e acerbamente Alfonso di aver fatto piangere la signora Carolina. 

— Ella è intelligente e dovrebbe capire che le può far male. 

— Ho pianto io, non è lui che mi ha fatto piangere, — disse la signora Carolina. 

Ma Mascotti non udiva e ripeteva le stesse frasi forse lieto di potersi mostrare zelante mentre Alfonso soffriva al vederlo rumoreggiare senza riguardi in quella stanza come se si fosse trovato in piazza. 

Con una risoluzione di cui non l’avrebbe ritenuta capace, per interrompere quel gridio, a voce alta la signora Carolina dichiarò che stava benone e premette il polso della mano sinistra di Alfonso; aveva ancora sempre sotto il suo capo la destra. 

Alfonso avrebbe avuto il desiderio di sfogarsi con Mascotti, rimproverarlo di non averlo avvertito prima e fargli capire che non era soddisfatto del modo con cui la povera ammalata era stata trattata, ma per il momento non poteva. Provò una certa soddisfazione all’accorgersi che Mascotti stesso doveva sentirsi colpevole visto che cercava di scolparsi. Senza che nessuno lo avesse interrogato sulla ragione che lo aveva indotto a lasciar ignorare ad Alfonso la malattia della signora Carolina, disse che gli era sembrato inutile di avvisarlo, visto ch’essa era stata sempre in buone mani e ripeté questa frase come per far tacere qualcuno che avesse asserito il contrario. Egli veniva a farle visita ogni giorno, ben volontieri s’intende, e la Giuseppina ch’egli le aveva messo accanto era una buona infermiera. 

Questo, che forse era vero, parve ad Alfonso tanto poco, che non seppe trattenersi e dinanzi alla madre lo rimproverò: — Avrebbe dovuto prevenirmi! — e lo guardò con sdegno proprio per fargli comprendere che aveva da fargli anche altri piú gravi rimproveri. 

— E la sua carriera? — chiese Mascotti. — Io, quale suo tutore, dovevo pur aver cura che non la interrompesse.

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