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greto altrui o almeno cosí si scusò con se stesso. Le raccontò che amava una fanciulla, ma che l’aveva scoperta tanto civetta e leggera che voleva togliersela dal cuore, ciò che gli doveva riuscire facilmente del resto. 

— È la signorina Lanucci? — chiese la signora Carolina con un sorriso forzato. 

— No! — rispose serio come in confessionale, — è una ragazza ricca che tu non conosci. 

— Molto ricca? 

— Cosí cosí! piú ricca di me ad ogni modo! 

Egli non voleva confessare che, abbandonando colei che aveva dichiarato civetta, respingeva da sé una grande fortuna, perché, sapendolo, la madre gli avrebbe dato torto. 

Per quella sera ella non ne parlò piú, ma a quelle parole doveva aver riflettuto lungamente: 

— Si capisce che tu non le vuoi bene, — gli disse il giorno dopo, — non avresti tanto facilmente compreso ch’è leggera e civetta o, comprendendolo, glielo avresti perdonato. 

Dopo un assalto in cui era sembrato che da un momento all’altro rimanesse soffocata, grata per l’aiuto ch’egli le aveva dato, gli disse: 

— Non amarla e non amarne alcuna. Le donne non ti meritano. 

Per quanto egli credesse che degl’intrighi in città nulla affatto gl’importasse, pure, dopo ricevuta la lettera di Francesca, il suo pensiero era per ore intere rivolto piú a quelli che alla madre. Se, come Francesca, con quel suo tono che non ammetteva dubbî, glielo diceva, Annetta lo lasciava per sposare suo cugino, quali sentimenti avrebbe avuto per lui? Di odio, era certo. Il ricordo della caduta di Annetta faceva anche a lui ribrezzo, ma che cosa avrebbe dovuto produrre nell’animo di Annetta maritata ad un altro? Onta e odio e forse, per il timore di veder divulgato il segreto, un odio attivo; lo avrebbe fatto scacciare dalla casa Maller e avrebbe tentato di rendergli impossibile la vita in città. E come si sarebbe comportato lui di fronte a tale odio? Reagire, difendersi? Ma gli sem-

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