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brava di non averne il diritto! Fantasticava su tali persecuzioni e si commoveva sulle sventure ch’egli immaginava gli dovessero toccare. 

La madre vide ch’egli aveva le lagrime agli occhi. 

— Perché piangi? 

— Ho bruciore agli occhi, non piango! 

Ella tacque e credette ch’egli piangesse al vederla tanto soffrire, mentre egli lagrimava sognandosi scacciato dalla banca con ingiurie da Maller e da Cellani e vedendosi uscirne col capo basso sotto il peso di una colpa, ma non quella ch’essi gli addebitavano pubblicamente. 

Spesso quando ella aveva bisogno di lui doveva chiamarlo piú volte acciocché egli udisse. 

La povera donna aveva continuamente bisogno di aiuto perché da sola non sapeva piú neppure voltarsi nel letto. Il suo corpo era piagato in piú luoghi dal giacere continuato e il dolore che le causava la pressione su quelle parti le faceva sentire continuamente il bisogno di mutare posizione. Per renderle possibile il difficile movimento, Alfonso aveva trovato un modo ingegnoso. Egli si piegava innanzi fino a mezzo il letto e con ambe le mani ella si attaccava al suo collo; egli allora si spingeva verso quella parte ove voltandosi ella doveva venire a poggiare, e l’ammalata faceva l’evoluzione cosí sospesa, semplicemente ritirando dal suo collo una mano. Grande sollievo ella non provava che quando, sospesa al collo di Alfonso, sul letto non poggiavano che i suoi piedi. Egli veniva tolto ai suoi sogni per andare a lei e per aiutarla a sospendersi al suo collo, ma quando non aveva che da sostenerla, mentre ella gridava e piangeva nel fare il primo sforzo per sollevarsi, egli di nuovo sognava di Maller, di Cellani e di Annetta. 

Ben presto però le sofferenze della signora Carolina aumentarono in modo che non gli lasciarono piú tempo a sogni, perché ella non ebbe piú un istante di requie e abbisognava continuamente di lui, non solo della sua forza per sostenerla, ma anche della sua intelligenza per trovare nuovo modo di soccorrere a nuovi mali. Non soltanto non poteva piú sognare, ma neppure riflettere, perché

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