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che alla mattina. Poteva presentare a Sanneo un enorme pacco di lettere risposte e contava almeno sulla sua riconoscenza. 

Infatti Sanneo fu molto cortese con lui. Dovette fargli qualche osservazione sul modo onde era concepita una o l’altra di quelle lettere, ma ragionava con dolcezza e non gridava, interpolando parole di lode alle poche di biasimo. Per qualche istante Alfonso ne fu veramente felice; erano le prime parole buone che udiva alla banca dopo il suo ritorno. 

Ma giunto all’aperto, là ove di solito faceva quel piccolo sforzo di volontà per dirigersi verso la biblioteca civica, sentí con terribile evidenza la disgrazia della sua posizione. Quale importanza poteva avere la simpatia di Sanneo in confronto all’odio immenso che doveva essersi scatenato contro di lui piú in alto? Non bastava lavorare molto e con intelligenza per diminuire quell’odio. Disse a se stesso che l’unica via per sottrarsene era dimettersi dal suo posto, ma non sentí cosí. Era quell’odio e quel disprezzo che gli dispiacevano, non il timore delle persecuzioni che gliene sarebbero derivate. Un’altra volta ancora non fu sincero con se stesso e non giunse ad essere perfettamente conscio della vera ragione per cui non abbandonava l’impiego. Non si disse che l’unica sua speranza era di poter attenuare quell’odio e farsi stimare da chi lo disprezzava, ma voleva convincersi che rimaneva da Maller perché ancora non sapeva se quell’odio si sarebbe manifestato e di piú se realmente sussistesse. Forse una sua tacita rinunzia, come voleva farla, poteva bastare per accontentare tutti. 

Stava per entrare in casa quando venne chiamato. Era Francesca che lo aveva atteso lungamente in mezzo alla via. 

— È da mezz’ora che vi attendo. — Lo aveva chiamato senza muoversi ed ora appena andava a lui col suo passo deciso, senza fretta. — Ho l’incarico da Annetta di dirvi che procuriate di dimenticarla; ella farà altrettanto. 

La brevità dell’annunzio era stata certamente premeditata per dargli maggior sorpresa e dolore.

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