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Nel suo impieguccio egli si trovava bene, — pensava a quella giornata passata tanto aggradevolmente al lavoro — e vi sarebbe rimasto. Se Annetta gli chiedeva il silenzio, certamente Maller stesso non avrebbe voluto altro e si sarebbe guardato dal fare alcun passo che ai terzi potesse rivelare le cause dell’odio che gli portava. 

Sarebbe vissuto tranquillo in mezzo a quell’odio. Avrebbe fatto alla banca il suo dovere, ma non dal lavoro avrebbe atteso che quell’odio diminuisse, bensí dal proprio contegno. Si proponeva di contenersi in modo che si terminasse col credere ch’egli tutto avesse dimenticato. Era piú di quanto gli era stato domandato. 

Amata non l’aveva giammai; ora la odiava per le inquietudini di cui ella era causa. Se non chiedevano altro da lui che di dimenticarla, li avrebbe accontentati. 

Trovò per la via Gustavo che lo salutò. 

— Finalmente! Non speravo piú di rivederti. Ci toccarono delle belle durante la tua assenza. Mamma ti ha già raccontato? E poi hai visto papà? 

Alfonso lo guardò attentamente per vedere quale impressione avessero prodotto in lui tante sventure. Aveva l’aspetto solito, una sigaretta in bocca, sucido, ma il cappello con civetteria sull’orecchio destro. Soltanto chiedendogli se la madre gli avesse già raccontato dell’abbandono di Gralli ebbe negli occhi un lampo d’ira. 

Nel tinello dei Lanucci c’era una tristezza enorme. La tovaglia giallognola, le poche e miserabili stoviglie e tutti quei volti pallidi anemici intorno al tavolo, ne facevano la degna abitazione della miseria sconsolata. 

— Maledizione, — mormorò Gustavo, — con tanti musoni anche quel poco che si mangia non si digerisce. — Poi rivoltosi a Alfonso: — Io sarei come al solito, ma al vedere costoro... 

Alfonso dal canto suo volle secondarlo nel tentativo di scuotere le due donne dalla loro tristezza inerte. 

— Infatti, — disse, — neppur io non capisco perché siate muti. 

La signora Lanucci che portava un pezzo di allesso alla bocca lo rimise nel piatto; le ripugnava il cibo. Lucia

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