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Alfonso non avrebbe saputo dire perché gli sembrasse di dovergliene dare tanti. Aveva una carnagione pallida, e se non da persona sana, da persona giovane, occhi chiari, azzurri; il colore biondo oro dei suoi capelli dava una grande dolcezza a quella fisonomia non regolare. Di statura era piccola, troppo se la figurina non fosse stata perfettamente proporzionata e non avesse tolto cosí il desiderio di modificarla in qualunque modo si fosse.

Gli porse la mano bianca paffutella: 

— Il figliuolo della signora Carolina? Dunque mio buon amico? Nevvero? 

Alfonso s’inchinò. 

— E al villaggio tutti bene? 

Chiese di dieci persone, suoi buoni amici, dei quali da anni non sentiva parlare; li nominava indicandone alcuno col nomignolo, tutti caratterizzando con la citazione di qualche loro qualità speciale. Poi chiese dei luoghi; li nominava con parole di rimpianto citando le belle ore che ci aveva passate. Chiese di una collina posta ad un’estremità del villaggio e stette a udire ansiosamente la risposta come se avesse temuto di dover apprendere che nel frattempo fosse crollata. 

Ad Alfonso la signorina Francesca parve subito adorabile. Nessuno gli aveva fino ad allora ravvivato in quel modo il ricordo della patria; i ricordi lontani e poco vivaci della signora Lanucci non ravvivavano niente. Egli viveva solo, sognando dolorosamente il suo paese, e, a forza di pensarci, trasformandolo. La signorina parlandone rettificava il suo ricordo e gli sembrava gliene desse una novella impressione. Era commossa anch’essa da quei ricordi. 

Come Alfonso poscia apprese, era stato quello l’anno piú felice della sua vita. Era stata ammalata e, in seguito a prescrizione medica, la povera famigliuola cui apparteneva con grandi sacrifizî l’aveva mandata in campagna. Lí aveva goduto un anno di assoluta libertà. 

Gli prese di mano il cappello e lo fece sedere. 

— La signorina Annetta verrà subito. Ella attende da molto tempo?

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