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minare per il Corso in sua compagnia, gli chiese che cosa da lui desiderasse cosí che a Gralli non fu concesso di preparare il suo discorsetto come avrebbe desiderato. 

Gralli lo pregò di seguirlo fuori del viavai della gente e si diressero verso la fontana. Lo scirocco aveva reso piú mite la temperatura e l’aria tiepida aveva chiamato dalle case molta gente. 

— Oggi parlai col vecchio Lanucci e mi disse ch’egli non sa nulla della dote promessa... — Parlava lentamente per dar tempo all’altro di abituarsi alla sua diffidenza e di scusarla, ma in dieci parole aveva già espresso tutto. 

— E che importa che il vecchio Lanucci ne sappia? Quando ho promesso io, basta! — gridò Alfonso infuriato capacissimo di far credere a Gralli ch’egli aveva desiderato che i Lanucci nulla sapessero del suo dono. 

— Non ne ho mai dubitato io, — gridò Gralli. 

Doveva essere vero perché Alfonso sapeva che Gralli s’era accontentato della sua promessa. Raccontò ad Alfonso con l’accento della sincerità che sua madre gli aveva imposto di non sposarsi se prima non avesse avuto in mano la dote. 

Alfonso si mise a ridere con disprezzo; affettava di non credere a quello ch’egli già aveva compreso essere vero: 

— Mi crede un mentitore dunque? In nessun caso le darei i denari in mano perché diffido io di lei per motivi migliori di quelli che lei può avere per diffidare di me. 

Gralli si disperò: 

— Se le cose stanno cosí, come faremo? Mamma è donna che quando ha detto ha scritto e dichiarò di non volerne sapere prima di aver veduto i denari! Non le basta neppure che lei faccia una promessa dinanzi al notaio. 

Questo che a Gralli sembrava un ostacolo insormontabile avrebbe potuto servire ad Alfonso quale scusa per sottrarsi all’impegno preso. Non volle e indicando lui la via per mettersi d’accordo sentí gonfiarsi il petto per il sentimento della propria generosità. Gli propose di portarsi insieme il giorno appresso da un notaio e depositare presso di lui i denari con la dichiarazione che non dove-

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