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dantemente, perché non avrebbe voluto avere l’aria di lasciarsi pagare il silenzio. Ma ora che ne aveva bisogno avrebbe cercato di godere di quanto gli avrebbero dato tenendosi sempre presente che aveva lavorato abbastanza per meritare qualunque rimunerazione.
Stava per entrare in stanza di Maller già malcontento in anticipazione, allorché Santo con un sorriso ironico lo fermò:
— Non qui! E il signor Cellani che la chiama!
Santo credeva che Alfonso non fosse stato chiamato per la rimunerazione. Ad Alfonso s’imporporò il volto, era anche peggio di quanto egli si fosse atteso. Neppure in quell’occasione Maller non voleva vederlo.
Entrò da Cellani il quale come al solito curvo sul tavolo non lo vide subito.
— Il signor Maller essendo stato chiamato improvvisamente dall’ufficio ha incaricato me di darle questo! — e pose con abbastanza mala grazia due banconote sul tavolo. Alfonso depresso le prese, mormorò un grazie appena intelligibile e uscí.
Sul corridoio ebbe un’altra prova dello sprezzo che gli veniva usato. Maller era in ufficio! Con la testa rossa fuori della sua stanza, gridando, chiamava Santo. Sembrava adiratissimo tanto che non vide Alfonso. Nella prima ira, Alfonso non seppe trattenersi; volle farsi vedere. Senza inchino e senza saluto gli chiese:
— Se vuole Santo lo chiamerò io!
Maller lo guardò un po’ sorpreso:
— Va bene! — disse brevemente e gli chiuse la porta in faccia.
Alfonso ritornò nella sua stanza senza curarsi di cercare Santo. Gli venne chiesto quanto denaro avesse ricevuto e le parole che Maller gli aveva dirette. Alfonso rispose che le parole erano state le solite e fece vedere le due banconote ricevute. Tutti trovarono ch’era poco e Alfonso rammentò a Ballina le sue parole di pochi giorni prima:
— Sono un protetto io?
Uscí con passo risoluto dopo aver esitato un istante dinanzi alla porta di Sanneo. Secondo la consuetudine