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zia un consenso al signor Maller. Ignorato del tutto, egli si trovò imbarazzato. Guardò un quadro alla sua destra: il ritratto di un vecchio dai tratti grossolani, gli occhi piccini, la testa calva. 

Parve che Francesca indovinasse il suo malessere e volesse riparare alla scortesia di Annetta ch’era stata la prima a parlare a mezza voce. Gli raccontò che avevano progettato un viaggio per Parigi e che, dopo aver resistito per lungo tempo, il signor Maller finalmente acconsentiva di accompagnarle e di lasciare per otto o dieci giorni le sue occupazioni, in piena stagione di lavoro. Si volse di nuovo ad Annetta.

— Ha detto espressamente che io vi accompagnerò? 

Anche da lei quel viaggio doveva essere stato molto desiderato. 

— Ma certo, — rispose Annetta con un sorriso che Alfonso fu costretto a trovare buono. 

Per un intervallo di tempo che a lui parve di un’ora almeno, dovette assistere passivamente al chiacchierio delle due donne, ora fingendo di prestarvi attenzione ed ora volgendo modestamente gli occhi altrove, cioè quando Annetta abbassava la voce e avvicinava la bocca all’orecchio di Francesca. Si sentí sollevato allorché Santo entrò e annunziò l’avvocato Macario. 

— Che entri, che entri! — gridò Annetta con gioia, — ci farà ridere. 

L’avvocato Macario, un bell’uomo di quarant’anni forse, vestito con grande accuratezza, alto e forte, una fisonomia bruna piena di vita, salutò Annetta imitando Ferravilla: — Oggi piú bella del solito... ahi! — Strinse la mano a Francesca la quale subito gli presentò Alfonso; poi, invece di nominare l’avvocato: — I piú bei mustacchi della città. 

— Se sapesse la fatica che mi costa di conservarli in tale stato; glielo racconto io, altrimenti anche questo le racconterebbe la signorina. 

Alfonso atteggiò il volto ad un sorriso; stava peggio di prima. La disinvoltura di Macario non gli toglieva l’imbarazzo e glielo faceva sentire meglio.

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