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Non uscí ancora dalla banca. Si pulí con accuratezza i calzoni e le scarpe con le spazzole di Miceni; anche quella era un’occupazione. 

Quando uscí dalla banca, mancava poco piú di un quarto d’ora alle otto ed egli si mise a correre, per poco temendo di arrivare in ritardo al convegno. Che cosa avrebbe fatto in questo caso? Forse sarebbe stato un ritardo senza rimedio. 

Il tempo sciroccale persisteva ancora ma non era caduta pioggia durante tutta la giornata. Fino a sera la città era stata coperta da un po’ di nebbia anche quella svanita e il cielo era chiaro, seminato di stelle, senza luna. Una fanghiglia rada ma continua copriva il selciato. 

Passati dieci minuti oltre le otto per la prima volta Alfonso ebbe il dubbio che Annetta non venisse. Era molto probabile! Fino allora, senza confessarlo, egli aveva agito come se fosse stato sicuro ch’ella ancora lo amasse perché altrimenti non poteva sperare che una fidanzata si lasciasse trascinare a tal passo. Comprese di aver composto malamente il suo biglietto. Avrebbe dovuto limitarsi ad esprimere a Annetta il suo desiderio di parlare e attendere da essa l’indicazione del quando e dove. Ma ora non era piú in tempo di correggersi. Avrebbe atteso là fino alle nove e si appoggiò ad un paracarro, paziente e rassegnato. 

S’avvide che per la seconda volta gli passava dinanzi un giovanotto fissandolo con curiosità; aveva già visto altrove quel volto oblungo con baffi biondi e sguardo penetrante e quella figura magra e lunga. Gli guardò dietro: Era Federico Maller. Lo aveva riconosciuto ai calzoni attillati. Era una combinazione o Annetta aveva confidato al fratello una missione per lui? Il Maller non gli era stato mai simpatico e gli dispiaceva di aver a trattare con lui, ma bisognava ora facilitargli il compito che s’era assunto per affetto alla sorella. 

Si volse per salutarlo sentendo che s’avvicinava di nuovo ma nello stesso tempo ricevette un urto che quasi lo gettò a terra. 

— Si chiede scusa, mascalzone! — gli urlò nell’orecchio

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