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saltando meno. Si teneva una mano al petto e la voce veniva rotta dall’affanno. 

— Non ne posso piú, — disse, e si fermò. 

Francesca, ridendo, innestò all’accompagnamento il canto, ma dopo pochi istanti, rimanendo ferma, Annetta ricominciò a cantare. La sua voce risuonava fresca e dolce. Cantava meno vivacemente e si soffermava su qualche nota prolungandola con sentimento cosí che ad Alfonso che non aveva capito il testo, la canzone terminò col sembrare triste. 

Quelle note dolci gli rivelarono la ragione del suo malessere. Il desiderio ch’esse gli diedero di udire una parola amichevole da quella magnifica creatura che aveva una voce cosí bella, lo fecero accorto che ancora non ne aveva ricevuto alcuna. Era stato accolto bruscamente, quando aveva principiato a parlare era stato interrotto senz’alcun riguardo, non gli era mai stata rivolta la parola. Perché? Ella non lo aveva mai veduto prima di allora. Doveva essere semplicemente il disprezzo per l’inferiore, per la persona vestita male, perché ora egli sapeva quanto male egli fosse vestito; il confronto con Macario ne l’aveva reso avvertito. 

Quando Annetta terminò, Macario batté con entusiasmo le mani e Alfonso si uní all’applauso nel modo medesimo. Eccedeva e poco dopo, ripensandoci, se ne accorse, ma non voleva lasciar capire ch’era offeso. Soffriva molto di dover simulare e capiva di aver perduto definitivamente tutto quel poco di disinvoltura che aveva portato seco. Macario nell’entusiasmo tenne lungamente nelle sue la mano che Annetta gli lasciava. 

— La signorina parla magnificamente il francese! — fece quasi in tono di domanda Alfonso. 

Nessuno si curò di rispondergli ed egli tacque riconoscendosi sciocco e noioso. 

Aiutata dalla cameriera, Annetta serví il tè. Con Macario ella insistette che prendesse anche qualche cosa d’altro; incaricò la cameriera di porgere una tazza ad Alfonso gli occhi del quale brillarono dall’ira. Cominciava a sentire il dovere di reagire; quello che piú di tutto lo

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