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la donna che lo teneva troppo in alto e lo costringeva quindi a curvarsi.
— Noi siamo piú sinceri di voi; io faccio pubblicamente tutte le mie cose e i parenti che ho qui me ne vogliono perciò, ma io me ne infischio formidabilmente.
Parlava l’italiano con disinvoltura, però si capiva che traduceva dal francese.
Un giorno nella stanza d’Alfonso, mentre c’era White entrò Annetta con un’amica alla quale faceva vedere la banca. Salutò con grande dimestichezza White, lo presentò all’amica e principiò con lui un vivace chiacchierio in francese. Congedandosi, disse ad Alfonso con un sorriso cortese:
— Anche lei... mi farà piacere!
Alfonso s’inchinò ma non aveva compreso.
Annetta era vestita in lutto per la morte di un lontano parente ch’essa non aveva neppur conosciuto. Il bruno la vestiva meglio che non il chiaro perché la faceva piú magra; i suoi occhi parevano persino piú espressivi.
— Che cosa mi ha detto? — chiese Alfonso a White.
— Ha invitato me a casa sua e cosí ha invitato anche lei — rispose White con noncuranza, — io non ci andrò!
— Ed io neppure! — affermò Alfonso risolutamente.
Al suo ritorno, Sanneo salutò gl’impiegati piú freddamente che alla partenza. Rientrato alla banca ridiveniva immediatamente il capo, mentre partendo aveva avuto il tempo di salutarli da collega.
Il primo giorno Miceni lo passò nella stanza di Sanneo per consegnargli i sospesi. Poi tutto riprese le vie usate e solo Miceni non seppe trovare la sua. Camminava per la banca piú stecchito del solito, in ozio perché essendo assuefatto al lavoro di Sanneo non era occupato abbastanza dal suo. Rimpiangeva quei quindici giorni di quasi sovranità, lodava il contegno che avevano avuto con lui i direttori ma piú di tutto esaltava il genere di lavoro di Sanneo.
— Questo è tutt’altra cosa! — esclamava con disprezzo accennando alle sue carte, — niente varietà e niente d’iniziativa!