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lettura di qualche giornale o uscito a chiacchierare con altri impiegati e lo trovava sempre al suo posto con la penna in mano e gli occhi fissi sulla carta. Per indulgenza gli diminuí anche il lavoro, ma le quindici o venti letterine che gli dava da fare, alla sera non erano mai fatte tutte e bastavano a mantenere il deposito di sospesi. 

Alfonso si figurava che il malessere generale che provava dipendesse dal bisogno che aveva il suo organismo di stancarsi, di esaurirsi. Si era anche fatto di quest’organismo una concezione plastica che riformava ad ogni novella sensazione. Alla sera, dopo una giornata passata in mezzo alle cifre o correndo per la banca oppure con la penna sulla carta e il pensiero altrove, immaginava che nel suo corpo si movesse una materia abbondante attraverso a vasi molli incapaci di resistere o di regolare. Se poteva, faceva allora delle grandi passeggiate e il malessere scompariva. I polmoni gli si allargavano, sentiva le giunture piú flessibili, il corpo gli obbediva piú pronto ed egli si figurava che quella materia fosse stata assorbita o regolata e che aiutasse invece d’impedire. Se si metteva a studiare, deposto il libro, si sentiva la mente stanca, una strana sensazione alla fronte come se il volume di dentro avesse voluto ingrossare, allargare il contenente. Si sentiva calmo precisamente come se si fosse stancato correndo; vedeva lucidamente e i sogni o erano voluti o mancavano. Ben presto anche il tempo dedicato alle passeggiate venne assorbito dallo studio; occorreva meno tempo per calmarsi con lo studio che con le corse. Una sola ora passata su qualche difficile opera critica lo quietava per un’intiera giornata. Inoltre, in poco tempo, gli era venuta l’ambizione e lo studio era divenuto il mezzo a soddisfarla. Le cieche obbedienze a Sanneo, le sgridate che giornalmente gli toccava sopportare, lo avvilivano; lo studio era una reazione a quest’avvilimento. Dinanzi ad un libro pensato faceva sogni da megalomane, e non per la natura del suo cervello, ma in seguito alle circostanze; si trovava ad un estremo, si sognava nell’altro. 

Ogni istante di tempo fuori di ufficio od anche all’ufficio ove in un ripostiglio teneva alcuni libri, lo dedicava

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