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ghiozzi che ancora nulla aveva potuto spiegarle. Vedendolo, ella lo guardò molto seria: 

— Che cosa le ha fatto questa poveretta? 

Molto imbarazzato, Alfonso rispose: 

— L’ho sgridata perché non aveva studiato nulla! 

— Ma se ha studiato! L’ho vista io a studiare. 

Come in tutte le persone deboli, l’ira di Lucia perché lungamente repressa, scoppiò con grande violenza. Ad onta dei singhiozzi inviò ad Alfonso con voce intelligibilissima tre insolenze: 

— Imbecille, sciocco, asino! 

Le belle maniere apprese con fatica negli ultimi anni non l’accompagnavano nella commozione e ne veniva ridotta alle parole, al suono di voce ed al gesto di Gustavo. Alfonso era offeso ma senza parole e irresoluto se dovesse difendersi o salvarsi da quell’ira rifugiandosi nella sua stanza. 

La signora Lanucci, dolente di vedere rotta la buona armonia ch’ella aveva voluto regnasse fra i due giovani, si adirò con Lucia: 

— Sei tu la sciocca, l’imbecille; vuoi star zitta? — e la respinse da sé.  

Lucia andò a cadere su una sedia, ma non le pareva d’essersi sfogata abbastanza:

— Crede di essere un dotto... 

— Vuoi stare zitta? — la interruppe la Lanucci minacciosamente. 

Ancora per una mezz’ora Lucia continuò a singhiozzare. 

La signora Lanucci non voleva apparire di dare importanza all’avvenuto e ne rise con Alfonso che davvero non seppe imitarla. 

— Però voglio che in casa regni l’armonia e capisco che l’unico mezzo d’averla è di lasciare queste lezioni; peccato! 

Poteva parlare del suo dispiacere senza dover temere di destare sospetti in Alfonso, perché al cominciare delle lezioni gli aveva spiegato quanto dalla sua istruzione sperasse per Lucia. Gli uomini, specialmente coloro i qua-

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