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li hanno il vero entusiasmo per lo studio, diceva la signora Lanucci con un inchino lusinghiero ad Alfonso, sono piú idonei ad insegnare che non le donne le quali amano le cose piccole e si perdono in particolari inutili e perciò dannosi alla comprensione del tutto. Gli uomini però, ora se ne accorgeva, avevano altri difetti ed altrettanto dannosi. Ad onta di questi difetti ella rimase tanto gentile con Alfonso da sorprenderlo. 

Lucia invece meno. Per otto giorni si astenne dal rivolgergli la parola. Lo serviva a tavola come la madre le ordinava, ma senza pronunziare una parola. La signora Lanucci, per consolarlo, gli faceva l’occhietto, rideva e rivolta a Lucia diceva ironicamente: 

— Ma porgi dunque quel piatto al signor Alfonso. Lo odii tanto da volerlo lasciare morire di fame? 

Lucia obbediva seria seria; altrettanto serio, con un ringraziamento freddo, Alfonso si lasciava servire. 

Una sera, entrando nel tinello improvvisamente perché accompagnato da Gustavo che aveva le chiavi di casa, trovò il vecchio Lanucci e la moglie accigliati e Lucia con gli occhi rossi di pianto. Evidentemente i due vecchi s’erano uniti per farle la predica. Sedette a tavola facendo le viste di non essersi accorto di nulla. 

Era pentito amaramente del suo contegno, ma non sapeva chieder scuse. Alla sera quand’era solo o in ufficio, ripensandoci, rivedeva le mute domande di scusa rivoltegli dalla povera fanciulla e doveva confessare che le sue ire erano state scioccamente brutali. Concludeva ch’era suo dovere di andare incontro a Lucia, chiederle scusa, e toglierle un dispiacere che, si capiva, la rendeva infelice. Invece quando si vedeva dinanzi quel volto sciocco, senza espressione, dagli zigomi sporgenti, serio, immusonito con tutta risolutezza, la buona parola che già aveva pronta gli ritornava in gola. 

Senza guardarlo in faccia, dopo una lunga esitazione, Lucia andò a lui e stendendogli la mano gli disse: 

— Mi scusi, signor Alfonso, ho avuto torto; facciamo la pace! 

Alfonso, commosso, gliela strinse con vivacità:

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