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Alchieri lo fermò sul corridoio. Voleva abbracciarlo per ringraziarlo ch’era ritornato precisamente come aveva promesso: 

— Non ne potevo piú. 

Poi anch’egli si mise a spiegargli degli affari e là, sul corridoio, gli consegnò tutte le lettere che egli aveva in mano per guardare dei saldi di conti o per avvisare delle tratte. Non vedeva l’ora di liberarsene. 

Con quelle lettere in una mano, il cappello nell’altra, Alfonso andò a salutare Cellani. 

Lo trovò che stava aprendo la posta. Con delle enormi forbici, con un solo taglio, apriva una parte della copertina, ne toglieva il contenuto che gettava da una parte e, prima di deporre la copertina, per prudenza, la guardava contro la luce. Anch’egli continuò a lavorare pur parlando con Alfonso, ma quando questi, sempre con la sua abituale timidezza, disse un grazie rammentando che il permesso lo doveva a lui, si alzò, e sul volto pallido un sorriso amichevole, andò a stringergli la mano. Sembrava che la sua figura lunga da sportsman in riposo, elegante ma debole, venisse portata piú che muoversi da sola, tanto poca energia c’era nei suoi movimenti e tanto esattamente, senza esitazioni, passò per un piccolo spazio fra tavolo e sedia.

— Lei ha una cera bellissima — disse ad Alfonso guardandolo quasi con invidia nel volto toccato dal sole. Aveva fretta di ritornare al suo posto. Stringendogli ancora una volta la mano, gli disse ridendo: — Adesso... — e con la penna nella sinistra accennò di scrivere con grande rapidità. 

Alfonso trovò che Alchieri aveva diminuito i suoi sospesi e sedendo al suo posto incuorato dalla gentile accoglienza di Cellani si propose di definirli e di non lasciare che altri se ne accumulassero. In soli quindici giorni, Alchieri, che usciva da una caserma, aveva introdotto nel lavoro un sistema preferibile di molto a quello di Alfonso e ad Alfonso fu facile, almeno per il primo tempo, di conservarlo. La maggiore tranquillità nel suo organismo rin-

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