< Pagina:Tarchetti - Paolina, 1875.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

paolina. 161

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tarchetti - Paolina, 1875.djvu{{padleft:161|3|0]]

Marianna distaccò dalla parete uno specchietto ovale, e glielo porse tremando.

— Dio! quanto pallida, disse Paolina, quanto mutata! io più non mi riconosco. Egli è doloroso che la morte non uccida tutto ad un tratto, ma con questa lentezza crudele, e ne faccia conoscere la sua potenza dissolvitrice prima di distruggerci. Sì, io non sono vanitosa, e pure avrei voluto morire come vissi; vedete ora queste labbra pavonazze, queste mie guancie affossate, questi occhi circondati da un solco livido e profondo, e la mia fronte pallida come un cero, i miei capelli che sembrano già avere in sè qualche cosa di inaridito e di morto.... ah! prendete, prendete, esclamò la fanciulla rabbrividita, lasciandosi scivolare lo specchio dalle mani.

Esso cadde sul pavimento e si ruppe: quel rumore acuto, improvviso, seguito da un silenzio profondo, aggiacciò il cuore delle tre donne.

— E devo pure avvertirvi d’un mio desiderio, riprese Paolina. Quando io sarò morta, e che l’inverno sarà meno rigido, lascierete andare quegli uccelli; fu una crudeltà la nostra nel ritenerli finora così imprigionati: forse qualcuno di loro verrà a posarsi inconsapevole sulla mia croce e lo sentirò ancora a cantare dalla mia tomba. Quale profonda malinconia nella natura! Sentite voi come si lamentano queste campane che sembrano pianger meco, e questo gocciare monotono delle gronde dentro i canali? Parmi che tutto gema sul mio destino e lo affretti.

A questo punto ella prese a vaneggiare con parole disor-

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.