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la fava bianca e la fava nera 181

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Era il dì dell’Epifania — un giorno come un altro per gli eretici, ma non per i ghiotti — e si mangiava la torta, una torta di proporzioni assai più modeste di quella che si compiacque di descrivere il Tarchetti, ma che celava anch’essa pretensiosamente le sue fave.

Il fuoco allegro, che scoppiettava nel camino, ci riscaldava in tre, non importa dire il dove nè il nome della terza persona, ma non si era molto disposti al buon umore, e io credo che le due fave venissero accolte con tiepidezza. Erano due fave disgraziate, e ne facemmo l’osservazione sorridendo.

Quel sorriso sprigionò la vena; non si fecero le grasse risate, ma si cianciò lungamente accanto al fuoco; si cominciò dai re e dalle regine e si andò a finire nella letteratura, argomento poco faceto in tutte le età della vita, ma non mai pauroso per chi, non ancora arrivato alla trentina, sa conservare un po’ di febbre dei vent’anni. Si fecero mille propositi, e si rivide o si credette di rivedere in lontananza un fantasma, a cui da un pezzo si aveva

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