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186 la fava bianca e la fava nera

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Il signor Francesco Paoli non avrebbe mai immaginato, nel leggere questa lettera, che il suo vecchio compagno d’ufficio, avrebbe voluto sdebitarsi sì largamente del dono che gli era stato fatto a Natale. La torta, che aveva ricevuto in quell’istante, era qualche cosa più che una torta, era un capolavoro di pasticcieria. Egli non aveva veduto mai nulla di simile, nè nelle vetrine di Biffi, nè nelle botteghe degli offellieri più rinomati. Era impossibile immaginare in quel genere di ghiottoneria qualche cosa di più elegante e, ad un tempo, di più appetitoso. Le dimensioni erano colossali, tanto nello spessore che nell’ampiezza; gli ornati, i disegni, i festoni, condotti in zucchero filato di varî colori, erano degni della matita di****; il profumo solleticante che ne emanava faceva fede dell’eccellenza della confezione, e della giusta misura che la mano sapiente del pasticciere aveva saputo porre nella mescolanza e nella combinazione dei dolci ingredienti, che la componevano. Quaranta raggi di zucchero rosso, si spiccavano dal centro, e correvano ad ugual distanza verso la periferia della torta, ciascuno di essi indicava il luogo dove il coltello innocente della famiglia avrebbe dovuto incidere, per sezionarla in quaranta fette uguali. Ogni triangolo scaleno, formato dalla divisione delle fette, aveva sapore e colore diverso: quale era coperto da uno strato abbondante di cioccolatte, quale da una specie di gelatina di zucchero a varie tinte ed a varî gusti, come di vaniglia, di menta, di ananas, di pesca, di lampone, di chiodo di garofano, ecc. Attorno a ciascuna di esse correva un ornato, che faceva l’ufficio d’incorniciatura;

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