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Da quel tempo in poi, ella s’era data indefessamente al lavoro, era orlatrice di occhielli, ma col massimo guadagno di quarantacinque centesimi al giorno, ed i suoi occhi, e la sua debole complessione non reggevano a questa fatica; essa aveva resistito coraggiosamente, poi era caduta inferma di febbre.

Tuttavia ella tollerava questo stato con rassegnazione, e s’era formata come una religione di questa grande virtù, che riunisce in sè l’essenza di tutte le altre, che ci fa sorridere piangendo, che ci guida tranquilli e fiduciosi attraverso un cammino di spine, ad una meta lontana, incerta, e talora anche insperata.

Dopo che ebbe recitate le sue orazioni, la fanciulla sorrise con dolcezza, come le fosse balenato nella mente qualche pensiero gentile e confortevole, e fermò la sua attenzione ad un raggio di sole che, penetrando dalla finestra, batteva allargandosi sul pavimento. — Quanti atomi che si aggirano, salgono, discendono, fuggono, si rialzano, scompaiono in quel raggio! essa vi spingeva un debole filo di fiato, e produceva dei turbini, dei molinelli, delle fughe, uno scompiglio, un disordine meraviglioso. — Così è del mondo, pensava la fanciulla — e continuava a soffiare in quel caos.

In quel mentre un piccolo gattino dal pelo liscio di seta, saltò sul lettuccio e si aggomitolò sulla coltre, essa allungò la sua mano, prese ad accarezzarlo, e a parlargli coll’ingenuità d’un bambino: — povero miccio, quanto sei buono!... e come ti sei fatto bello da quel giorno che ti raccolsi sulla

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