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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tarchetti - Racconti umoristici, 1869.djvu{{padleft:117|3|0]]luogo. Oltre i doni ricchissimi in verghe d’oro e d’argento, e in grosse pietre preziose che mi erano state inviate dalle provinci e fedeli del regno, le fanciulle del mio serraglio mi avevano mandato un’ambasciata di dodici delle più belle tra loro, incaricate di ricevermi e prestarmi ogni sorta di servigi nel padiglione. Io non aveva veduto mai bellezze più abbaglianti, nè è possibile che possa manifestare l’emozione che provai a quella vista.

Il loro abito orientale era tutto ornato di lanugine di cigno e di perle, i loro calzoncini di seta azzurra erano stretti alla caviglia piccola e asciutta da un laccio magnifico a fiocchi d’oro, i loro piedini chiusi in scarpette a ricami erano sì piccini che potevano essere contenuti nella mia mano; tutte le loro forme erano ad un tempo sì piene e sì delicate, e spiravano tanta voluttà che io non aveva mai veduto, o immaginato soltanto, creature più graziose e più seducenti.

Ma una ve n’era sovra tutte che colpì in ispecial modo la mia immaginazione. È impossibile il dire quanto ella fosse bella, forse anche impossibile lo immaginarlo: la bianchezza del suo viso era quasi luminosa — abbagliava: le sue fattezze, i suoi profili si perdevano in una specie di vaporosità leggermente rosata; i suoi capelli erano sì sottili, sì neri e sì lucenti che ondeggiavano sotto l’azione della luce come un drappo serico; e mentre io stava contemplando quel prodigio di avvenenza, essa mi si appressò timida e sorridente, e dopo aver pronunciato alcune parole in lingua Potikorese

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