< Pagina:Tarchetti - Racconti umoristici, 1869.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 149 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tarchetti - Racconti umoristici, 1869.djvu{{padleft:149|3|0]]la corda abbandonata a sè, mi sospendesse perpendicolarmente sulla voragine, io diressi ancora alcune parole ai Denti bianchi:

— Domando, io dissi, che la salma reale sia trasportata in Europa, per ricevere sepoltura nelle tombe de’ miei padri. Che, ove non ottemperaste a questo desiderio, la mia nazione invierebbe immediatamente la sua flotta a bombardare i porti di Potikoros, e impadronirsi dell’isola.

Nè io pensava in quel momento che era impossibile tornar da quell’abisso, e che mi sarei fatto a brani cadendo sulle punte di granito che formavano il fondo. E comprendeva benissimo che la mia salma doveva aver nulla di più sacro della salma d’un zoccolante; poichè il corpo d’un re e quello d’un mendico producono la stessa specie di vermi; e, come aveva letto nel Amleto, si può gettar l’amo ad un pesce col verme che mangiò di un re, e un mendico può mangiare di quel pesce, per modo che il corpo di un re entri nelle viscere di un mendico. Nondimeno la mia vanità mi spinse a proferire quelle parole.

Vanità inutile, poichè i Denti bianchi tornarono a sorridere di quel sorriso feroce che mi aveva poc’anzi agghiacciato il sangue nelle vene, e a contrarre le labbra a quella smorfia infernale, di cui non saprei darvi un’idea se non richiamandovi alla mente quello scoprirsi delle mandibole che osserviamo nei mastini e nelle fiere quando stanno per avventarsi, e che noi soliamo indicare col dire: mostrano i denti.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.