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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tarchetti - Racconti umoristici, 1869.djvu{{padleft:20|3|0]]domestici portavano le loro livree sdruscite, i suoi cavalli languivano da qualche tempo nelle scuderie, i suoi cani impigrivano presso il focolare, egli stesso fuggiva i suoi amici, i clubs, i teatri, ogni mezzo di divagazione — non viveva più che della passione fatale del giuoco.

Ed ora che aveva fatto? Aveva perduta quella grande proprietà di Littleford che apparteneva a sua moglie, e che ne costituiva unicamente la dote; aveva perduto quasi tutto il resto della sua fortuna. Come vi avrebbe rimediato!

Ecco ciò che passava per la mente di Rosen, mentre si appoggiava contro il parapetto del ponte, e pensava se avrebbe potuto ancora accettare la vita al prezzo di quelle sventure. La memoria di Emilia gli si affacciava con un’insistenza tormentosa, con una esattezza e con una verità di dettagli straziante. Egli la vedeva afflitta, scoraggiata, piangente; giovine ancora e già tanto avvizzita dal dolore; ancor bella e costretta a sfuggire la società, a celarsi nell’isolamento, e a lamentare nella povertà e nell’abbandono le pene di una vedovanza precoce.

— No, diss’egli scuotendosi, avvenga ciò che può avvenire, non mi ucciderò; fossi io solo, e fossero queste onde più alte di quelle di Foreland, andrei a cercarne il fondo col capo, ma così, con mia moglie, ah! no, non diventerò l’assassino di mia moglie... andiamo a casa andiamo a letto, dormiamoci sopra, vedremo ciò che si potrà fare domani.

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