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SCENA PRIMA.61 Io, per la tema del morir, raddoppio
La forza al corso, e d’altra parte il ramo Non cede, e non mi lascia; al fin mi suolgo Del velo, e alquanto de’ miei crini anchora Lascio suelti co'l velo, e cotant’ali M’impennò la paura à i piè fugaci, Ch’ei non mi giunse, e salva uscij del bosco. Poi, tornando al mio albergo, io t’incontrai Tutta turbata, e mi stupij, vedendo Stupirti al mio apparir. Daf. Ohime, tu vivi, Altri non già. Sil. Che dici? ti rincresce Forse, ch’io viva sia? M’odi tu tanto?
Daf. Mi piace di tua vita, ma mi duole
De l’altrui morte. Sil. E di qual morte intendi?
Daf. De la morte d’Aminta. Sil. Ahi, come è morto? Daf. Il come non sò dir, nè sò dir anco,
S’è ver l’effetto: ma per certo il credo.
Sil. Ch’è ciò, che tu mi dici? O à chi rechi
La cagion di sua morte? Daf. Á la tua morte.
Sil. Io non t’intendo. Daf. La dura novella
De la tua morte, ch’egli udì, e credette, Havrà porto al meschino il laccio, o’l ferro, Od altra cosa tal, che l’havrà ucciso.
Sil. Vano il sospetto in te de la sua morte
Sarà, come fù van de la mia morte; Ch’ogn'uno à suo poter salva la vita.
Daf. Ò Silvia, Silvia, tu non sai, nè credi,
Quanto’l foco d’Amor possa in un petto, Che petto sia di carne, e non di pietra,
Com'è
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