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123.

Scrivendo al signor Flaminio Delfino scopre la tiepidezza del suo amore,

ma soggiunge che per essere diminuito l’ardore non era diminuita

la gratitudine.


Flaminio, quel mio vago ardente affetto
  Che spesso ad altro suon ch’a quel di squille
  Destar soleami e mille volte e mille
  4Mi bagnò il seno e mi cangiò l’aspetto,
Non m’invaghisce piú di van diletto,
  Né piú raccende in me fiamme e faville,
  Né turba il sonno, né d’amare stille
  8Mi sparge il viso impallidito e ’l petto.
Pur di nobile donna in me conservo
  Onorata memoria, e le mie pene
  11Libro e le grazie sue con giusta lance.
Ma, se gradí Lucrezia il cor già servo,
  Libero l’ami ancor quanto conviene,
  14Né sprezzi le mie dolci antiche ciance.


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