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FRANCESCO PETRARCA

  E ’l volto, che lei segue ov’ella il mena,
  10Si turba e rasserena,
  Et in un esser picciol tempo dura;
  Onde a la vista uom di tal vita esperto
  Diria: ‘ Questi arde, e di suo stato è incerto.’
  Per alti monti e per selve aspre trovo
  15Qualche riposo; ogni abitato loco
  È nemico mortal degli occhi miei.
  A ciascun passo nasce un pensier novo
  De la mia donna, che sovente in gioco
  Gira ’l tormento ch’io porto per lei.
  20Et a pena vorrei
  Cangiar questo mio viver dolce amaro,
  Ch’i’ dico: ‘ Forse ancor ti serva Amore
  Ad un tempo migliore;
  Forse a te stesso vile, altrui se’ caro ’.
  25Et in questa trapasso sospirando:
  ‘ Or potrebbe esser vero? or come? or quando? ’
  Ove porge ombra un pino alto od un colle,
  Talor m’arresto, e pur nel primo sasso
  Disegno co’ la mente il suo bel viso.
  30Poi ch’a me torno, trovo il petto molle
  De la pietate; et allor dico: ‘ ahi lasso,
  Dove se’ giunto, et onde se’ diviso! ’
  Ma, mentre tener fiso
  Posso al primo pensier la mente vaga
  35E mirar lei et obblïar me stesso,
  Sento Amor sì da presso
  Che del suo proprio error l’alma s’appaga.
  In tante parti e sì bella la veggio,
  Che, se l’error durasse, altro non cheggio.
  40I’ l’ho più volte (or chi fia che me ’l creda?)
  Nell’acqua chiara e sopra l’erba verde

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