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FRANCESCO PETRARCA

  Et in un punto n’è scurato il sole.
  Qual ingegno a parole
  Poria agguagliar il mio doglioso stato?
  20Ahi orbo mondo ingrato!
  Gran cagion hai di dever pianger meco;
  Chè quel ben ch’era in te perduto hai seco.
  Caduta è la tua gloria, e tu no ’l vedi:
  Nè degno eri, mentr’ella
  25Visse qua giù, d’aver sua conoscenza,
  Nè d’esser tócco da’ suoi santi piedi;
  Perchè cosa sì bella
  Devea ’l ciel adornar di sua presenza.
  Ma io, lasso, che senza
  30Lei nè vita mortal nè me stesso amo,
  Piangendo la richiamo:
  Questo m’avanza di cotanta spene,
  E questo solo ancor qui mi mantene.
  Oïmè, terra è fatto il suo bel viso,
  35Che solea far del cielo
  E del ben di lassù fede fra noi.
  L’invisibil sua forma è in Paradiso,
  Disciolta di quel velo
  Che qui fece ombra al fior de gli anni suoi,
  40Per rivestirsen poi
  Un’altra volta e mai più non spogliarsi;
  Quando alma e bella farsi
  Tanto più la vedrem, quanto più vale
  Sempiterna bellezza che mortale.
  45Più che mai bella e più leggiadra donna
  Tornami innanzi, come
  Là dove più gradir sua vista sente.
  Questa è del viver mio l’una colonna;
  L’altra è ’l suo chiaro nome

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