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FRANCESCO PETRARCA

  ‘ Come non conosco io l’alma mia Diva?
  Risposi in guisa d’uom che parla e plora;
  21Dimmi pur, prego, se sei morta o viva.’
  ‘ Viva son io, e tu sei morto ancora,
  Diss’ella, e sarai sempre infin che giunga
  24Per levarti di terra l’ultim’ora.
  Ma ’l tempo è breve, e nostra voglia è lunga;
  Però t’avvisa, e ’l tuo dir stringi e frena,
  27Anzi che ’l giorno già vicin n’aggiunga.’
  Ed io: ‘ Al fin di quest’altra serena
  Ch’ha nome vita, che per prova ’l sai,
  30Deh dimmi se ’l morir è sì gran pena.’
  Rispose: ‘ Mentre al vulgo dietro vai,
  Ed all’opinïon sua cieca e dura,
  33Esser felice non puo’ tu giammai.
  La morte è fin d’una prigion oscura
  Agli animi gentili, agli altri è noia,
  36Ch’hanno posto nel fango ogni lor cura.
  Ed ora il morir mio, che sì t’annoia,
  Ti farebbe allegrar se tu sentissi
  39La millesima parte di mia gioia.’
  Così parlava, e gli occhi avea al ciel fissi
  Devotamente; poi mise in silenzio
  42Quelle labbra rosate, insin ch’io dissi:
  ‘ Silla, Mario, Neron, Gaio e Mesenzio,
  Fianchi, stomachi, febbri ardenti fanno
  45Parer la morte amara più ch’assenzio.’
  ‘ Negar, disse, non posso, che l’affanno
  Che va innanzi al morir non doglia forte,
  48E più la tema dell’eterno danno:
  Ma pur che l’alma in Dio si riconforte,
  E ’l cor che ’n sè medesmo forse è lasso,
  51Che altro ch’un sospir breve è la morte?


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