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LODOVICO ARIOSTO

154 Capitolo

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(Alla città di Firenze)

G
ENTIL città, che, con felici auguri,

Dal monte altier che forse per disdegno
  3Ti mira sì, qua giù ponesti i muri;
  Come del meglio di Toscana hai regno,
  Così del tutto avessi! che ’l tuo merto
  6Fôra di questo e di più imperio degno.
  Qual stile è sì facondo e sì diserto,
  Che delle laudi tue corresse tutto
  9Un così lungo campo e così aperto?
  Del tuo Mugnon potrei, quando è più asciutto,
  Meglio i sassi contar, che dire a pieno
  12Quel che ad amarti e riverir m’ha indutto:
  Più tosto che narrar quanto sia ameno
  E fecondo il tuo pian, che si distende
  15Tra verdi poggi infin al mar Tirreno:
  O come lieto Arno lo riga e fende,
  E quinci e quindi quanti freschi e molli
  18Rivi tra via sotto sua scorta prende.
  A veder pien di tante ville i colli,
  Par che ’l terren ve le germogli, come
  21Vermene germogliar suole e rampolli.
  Sc dentro un mur, sotto un medesmo nome,
  Fosser raccolti i tuoi palazzi sparsi,
  24Non ti sarían da pareggiar due Rome.
  Una so ben, che mal ti può uguagliarsi,
  E mal forse anco avría potuto prima
  27Che gli edifici suoi le fossero arsi
  Da quel furor ch’uscì dal freddo clima
  Or di Vandali, or d’Eruli, or di Goti,
  30All’italica ruggine aspra lima.


219

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