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LODOVICO ARIOSTO

  Dove son, se non qui, tanti devoti,
  Dentro e di fuor, d’arte e d’ampiezza egregi
  33Tempî, e di ricche oblazïon non vôti?
  Chi potrà a pien lodar li tetti regî
  De’ tuoi primati, i portici e le corti
  36De’ magistrati, e pubblici collegi?
  Non ha il verno poter ch’in te mai porti
  Di sua immondizia: sì ben questi monti
  39T’han lastricata sino agli angiporti,
  Piazze, mercati, vie marmoree e ponti,
  Tali bell’opre di pittori industri,
  42Vive sculture, intagli, getti, impronti;
  II popol grande, e di tant’anni e lustri
  Le antiche e chiare stirpi; le ricchezze,
  45L’arti, gli studi e li costumi illustri;
  Le leggiadre maniere e le bellezze
  Di donne e di donzelle, a cortesi atti,
  48Senza alcun danno d’onestade avvezze;
  E tanti altri ornamenti che ritratti
  Porto nel côr, meglio è tacer, che al suono
  51Di tant’umile avena se ne tratti.
  Ma che larghe ti sian d’ogni suo dono
  Fortuna a gara con natura, ahi lasso!
  54A me che val se in te misero sono?
  Se sempre ho il viso mesto e il ciglio basso,
  Se di lagrime ho gli occhi umidi spesso,
  57Se mai senza sospir non muto il passo?
  Da penitenza e da dolore oppresso,
  Di vedermi lontan dalla mia luce,
  60Trovomi sì, ch’odio talor me stesso.
  L’ira, il furor, la rabbia mi conduce
  A bestemmiar chi fu cagion ch’io venni,
  63E chi a venir mi fu compagno e duce:

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