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MICHELANGIOLO BUONARROTI

158 iii

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(Per Dante Alighieri)

D
AL ciel discese, c col mortal suo, poi

Che visto ebbe l’inferno giusto e ’l pio,
  Ritornò vivo a contemplare Dio,
  4Per dar di tutto il vero lume a noi:
  Lucente stella, che co’ raggi suoi
  Fe’ chiaro, a torto, el nido ove nacqu’ io;
  Nè sare’ ’l premio tutto ’l mondo rio:
  8Tu sol, che la creasti, esser quel puoi.
  Di Dante dico, che mal conosciute
  Fur l’opre sue da quel popolo ingrato,
  11Che solo a’ giusti manca di salute.
  Fuss’io pur lui! c’a tal fortuna nato,
  Per l’aspro esilio suo, con la virtute,
  14Dare’ del mondo il più felice stato.


159 iv

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(Per il medesmo)

Q
UANTO dirne si de’ non si può dire,

Che troppo agli orbi il suo splendor s’accese
  Biasmar si può più ’l popol che l’offese,
  4C’al suo men pregio ogni maggior salire.
  Questo discese a’ merti del fallire.
  Per l’util nostro, e poi a Dio ascese:
  E le porte che ’l ciel non gli contese,
  8La patria chiuse al suo giusto desire.
  Ingrata, dico, e della sua fortuna
  A suo danno nutrice; ond’è ben segno
  11Ch’a’ più perfetti abbonda di più guai.
  Fra mille altre ragion sol ha quest’una:
  Se par non ebbe il suo esilio indegno,
  14Simil uom nè maggior non nacque mai.


223

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