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VINCENZO DA FILICAIA

238 (All’Italia)
i

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I
TALIA, Italia, o tu, cui feo la sorte

Dono infelice di bellezza, ond’hai
  Funesta dote d’infiniti guai,
  4Che in fronte scritti per gran doglia porte;
  Deh, fossi tu men bella, o almen più forte,
  Onde assai più ti paventasse, o assai
  T’amasse men chi del tuo bello ai rai
  8Par che si strugga, e pur ti sfida a morte!
  Ch’or già dall’Alpi non vedrei torrenti
  Scender d’armati, e del tuo sangue tinta
  11Bever l’onda del Po gallici armenti.
  Nè te vedrei del non tuo ferro cinta
  Pugnar col braccio di straniere genti,
  14Per servir sempre o vincitrice o vinta.


239 ii

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D
OV’è, Italia, il tuo braccio? e a che ti servi

Tu dell’altrui? Non è, s’io scorgo il vero,
  Di chi t’offende il difensor men fero:
  4Ambo nemici sono, ambo fur servi.
  Così dunque l’onor, così conservi
  Gli avanzi tu del glorïoso impero?
  Così al valor, così al valor primiero
  8Che a te fede giurò la fede osservi?
  Or va; repudia il valor prisco, e sposa
  L’ozio, e fra ’l sangue, i gemiti e le strida
  11Nel periglio maggior dormi e riposa.
  Dormi, adultera vil, fin che omicida
  Spada ultrice ti svegli, e sonnacchiosa
  14E nuda in braccio al tuo fedel t’uccida.

316

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