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ALESSANDRO GUIDI

  45E guidano dai barbari remoti
  L’ira e il ferro de’ Goti
  Alla fatale impresa.
  Ed or vedete i gloriosi avanzi,
  Come, sdegnosi dell’ingiurie antiche,
  50Stan minacciando le stagion nemiche.
  Quel che v’addito è di Quirino il colle,
  Ove sedean pensosi i duci alteri;
  E dentro ai lor pensieri
  Fabricavano i freni
  55Ed i servili affanni
  Ai duri Daci, ai tumidi Britanni . . .
  Ampj vestigj di colossi augusti,
  Di cerchi, di teatri, e curie immense,
  E le terme che il tempo ancor non spense,
  60Fan dell’alme romane illustre fede.
  Parea del Lazio la vetusta gente
  In mezzo allo splendor de’ Genj suoi
  Un popolo d’eroi:
  Ma, reggie d’Asia, vendicaste al fine
  65Troppo gli affanni che da Roma aveste:
  Con le vostre delizie, oh, quanto feste
  Barbaro oltraggio al buon valor Latino!
  Forse pur, stata Menfi al Tebro ignota.
  Come i principi son del Nilo ascosi,
  70Che non avresti, Egizia Donna, i tuoi
  Studi superbi e molli
  Mandati ai Sette Colli,
  Nè fama avrebbe il tuo fatal convito:
  Romolo ancor conoscería sua prole,
  75Nè l’Aquile Romane avrian smarrito
  Il gran cammin del sole.
  Ma pur non han le neghittose cure,

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